Scritto da DAVIDE MONA per Raccontidipesca
Il Racconto di pesca di un grande calamaro catturato da terra con la tecnica dell’ Eging!
La pesca a Eging “o pesca hai cefalopodi da terra” in italia e’ ormai una tecnica più’ che consolidata catturando sempre più’ discepoli o pescatori.
Io sono uno di quelli che e ‘ rimasto affascinato da questa splendida tecnica . Una pesca che vede i suoi maggiori frutti proprio nei mesi più freddi dell’anno e per questo ricca di sacrifici .
La foto è stata pubblicata sui social riscuotendo molti like , molti mi hanno chiesto la storia di questa cattura, il luogo, la totanara usata e quindi mi sembrava giusto raccontare.
La storia nasce dalla passione per la pesca, dalla voglia di mettersi in gioco con una tecnica che sembra nuova in continua evoluzione sempre da scoprire.
L’Eging, come tutte le altre tecniche di pesca sembra facile da praticare, quelle poche regole , ma che ti accorgi non essere ne fisse e neanche certe!
Sono ormai passate le festività’ natalizie e’ le prime fredde sere di gennaio mai come quest’anno sono freddissime nel golfo di Napoli.
Il mare è calmo e la prima luna crescente cattura la mia attenzione immediatamente…!!! Le condizioni atmosferiche di questa sera sembrano perfette, la stagione è appena iniziata e i diavoli rossi sono lì, in agguato, pronti per la caccia.
Arrivo sulla scogliera mentre il giorno sta ancora svanendo, l’orario? Quello del calar del sole!!! Una variante imprevista condiziona la mia azione di pesca – “maledizione”, proprio quello che non ci voleva.
Un vento laterale, forte e freddo, in alcuni tratti sembra rallentare e ostacolare i miei lanci.
Non manca di pescatori sulla scogliera, ma con l’oscurarsi della notte due o tre di loro decidono di abbandonare il campo. Per fortuna, insieme a qualche caro amico d’avventura, traiamo la forza necessaria per continuare la nostra sessione di pesca alla ricerca del Calamaro.
La rotazione delle totanare e delle colorazioni diventa cruciale. Sperimento quelle che mi sembrano più efficaci in queste condizioni:
Il cielo è scuro con qualche nuvola, la luna dovrebbe sorgere presto e illuminare il mare calmo. L’acqua limpida è solcata solo dal forte vento, le luci dei lampioni ci tengono compagnia, ma una potente torcia frontale diventa indispensabile per seguire la traiettoria della treccia del mulinello.
Provo diverse totanare, varie colorazioni, ma non ricevo alcuna toccata. Inizio a svalvolare, mentalmente. Scavo nell’archivio della memoria, sfoglio ricordi, cerco di collegare catture, condizioni e esche usate in passato.
Visualizzo il contrasto che quel colore di totanara può avere in acqua, poi la scelgo. Eccola, questa è la totanara che quella sera mi ha regalato una delle sensazioni di pesca più intense nell’ Eging.
Non voglio mancare di rispetto a tutti quei pro-staff o pescatori che preferiscono totanare di noti marchi – nulla contro, le uso anch’io – ma quella sera ho utilizzato una totanara di marca nota per essere economicamente accessibile. In quella buia serata, avevo bisogno di quel contrasto che ho trovato proprio in questa totanara.
Lancio l’esca, sfido il vento in una gara per mantenerla in posizione. La tensione della treccia mi costringe a fare un gioco di traina dagli scogli, una situazione che mi fa sorridere, ma la mia concentrazione è tutta focalizzata a toccare il fondo. Alcuni giri di manovella e qualche jerkata verso l’alto, sento la resistenza: sono in tiro. Jerko di nuovo, confermo che sono in tiro, e leggermente, ma in modo deciso, qualcuno bussa alla mia lenza.
Scatto veloce con il ferrare, e inizio a sentire le poderose pulsazioni del Diavolo. All’inizio sembra andare tutto liscio, ma no, si blocca. Ma cosa sta succedendo? Inizia a muoversi verso di me, la frizione del mulinello sembra cantare – certo, il drag del mio piccolo mulinello da 2500 non è esattamente progettato per queste situazioni. Riuscirò a portarlo a terra?
Ecco che inizia a emergere, ma c’è un dettaglio: è ferrato su un solo tentacolo, quello retrattile. Potrebbe liberarsi o spezzarsi, data la mole del calamaro.
Il mio amico Vittorio, vedendo le dimensioni del Cefalopode, decide di darmi una mano per portarlo al guadino. Non mancano le difficoltà, ma alla fine è dentro il guadino, ormai mio. Ringrazio l’amico Gianni per le foto e per la pesatura di rito: “Un bel animale”.
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