Una passione chiamata Spinning

Una passione chiamata Spinning

E’ strano a dirsi, ma l’informazione ai giorni nostri, rispetto a qualche anno fa, è sicuramente più immediata.

Attraverso i social media come Facebook e Instagram, le persone possono condividere tutto quello che gli accade, a volte decidendo di farlo qualche giorno dopo, altre volte dopo qualche ora, oppure praticamente in diretta.

Io che all’anagrafe sono registrato nella seconda metà degli anni 80, sono una generazione ibrida, una generazione che ha conosciuto i tempi senza cellulare, ma soprattutto i tempi in cui per condividere una foto, per ricordare un momento, dovevi stamparla dal fotografo e tenerla nel cassetto, per poi rimembrarla al momento opportuno, per far riaffiorare le emozioni o solamente un timido sorriso.

Attraverso l’uso smodato dei social, questo potere si è affievolito. Una foto non vale più nulla, come non vale più nulla un racconto.

La gente vuole tutto e subito, milioni di contenuti senza capo ne coda, senza pathos, senza attesa e senza suspance, fino a diventare un pastone di like e cuoricini, a volte cliccati meccanicamente.

E dire che la mia passione per lo spinning in mare, è nata da un insieme di racconti. Alcuni li ricordo nitidamente, altri meno, ma uno in particolare ritengo sia la molla scatenante di questa magnifica passione.

Siamo nei primi anni ’90, il periodo in cui le Fiat Uno giravano liberamente e si poteva ancora fumare all’interno dei locali pubblici.

Con mio padre, cosa che oggi accade sfortunatamente sempre meno, condividevamo spesso i pomeriggi al porto, dove i saraghetti la facevano da padrone e i panini al prosciutto da carburante per continuare a pescare.

Una sera, mi raccontò che durante il servizio di leva vide i suoi primi barracuda (sicuramente meno comuni di oggi), pesci predatori che chiaramente si cibavano di altri pesci.

Ma soprattutto, cosa da non sottovalutare per la fantasia galoppante di un bambino, avevano i denti.

Chissà cosa mi sembrava. Li immaginavo come animali preistorici, come bestie indomabili dalla difficile cattura.

Passano gli anni,e dei barracuda neanche più l’ombra di un racconto.

Internet prende piede velocemente, si comincia ad uscire in motorino, a giocare a pallone più seriamente, a suonare nelle prime band tra amici.

Si comincia ad uscire con le ragazze,a fumare le prime sigarette, a bere qualche birra.

E proprio durante una birra, un amico dice che il giorno dopo vuole andare a vedere i Barracuda, che ci sono in un porto vicino a casa nostra, che qualcuno li ha pescati.

Una botta di adrenalina, e come un ricordo sopito ma mai dimenticato, riaffiora nella memoria tutto il viaggio mentale costruito da bambino.

Finalmente la possibilità di conoscere questi magnifici predatori, di togliermi il dente, di assaporare l’ebbrezza della scoperta, così scontata per tanti ma evidentemente non per tutti.

E andò proprio come immaginate.

Pescammo un barracuda all’alba, anche un bel pesce se ricordo bene.

Lo pescò il mio amico Salo, con una canna da surf casting , un mulinello marcio ed un’esca rapala con la paletta in metallo, quando i pro staff ed il business dello spinning, non aveva ancora avuto effetto sui pesci, che inconsapevoli, mangiavano ciò che trovavano.

Credo che i racconti siano un utile strumento. Quelli di pesca fanno sognare i bambini, che non nascono consapevoli del mondo iper tecnologico che li circonda.

Un bambino di oggi è uguale ad un bambino di ieri, ascolta le nostre storie ma solo se le raccontiamo, costruisce un suo mondo attorno alle nostre parole, immagina le cose a modo suo, innescando così la curiosità e la voglia di vedere, di scoprire, ma soprattutto la voglia di fare, di spingersi a provare le esperienze di persona, abbandonando questo lassismo diffuso causato dalla parte marcia del web.

Raccontante. Raccontiamo. Non perdiamo l’opportunità di far sognare con le parole, perché in fin dei conti, a volte, ci restano solo quelle.

Matteo Mura (Headline)

www.saltwaterfable.com

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